Il tempo di crisi che viviamo oramai da diversi anni ha determinato le premesse perché le istituzioni europee, alle quali a torto o a ragione vengono attribuite nel comune sentire responsabilità nel peggioramento delle nostre condizioni di vita, debbano affrontare una perdita di consenso. Oramai ciò avviene anche in quelle parti del continente, come il nostro Paese, la cui opinione pubblica aveva fin qui sempre sostenuto con sincera partecipazione il progetto europeo.La Corte europea dei diritti dell’uomo non fa eccezione. In un momento nel quale inevitabili timori per il futuro si accompagnano alla percezione della messa in discussione, che è reale, del modello europeo di stato sociale, anche la Corte, con la sua immagine di pro-tettrice di soggetti che, specie in un momento di penuria di risorse, rischiano di essere percepiti come “nemici”, come i detenuti, gli im-putati nei processi penali, i migranti clandestini, eccetera, si trova a doversi confrontare con polemiche e sentimenti negativi sia a livello di opinioni pubbliche sia a livello di alcuni governi.Per questa ragione la riflessione degli Stati intorno al futuro del sistema europeo di protezione dei diritti umani, un esercizio che ul-timamente ha ricevuto nuovo impulso con le conferenze intergover-native di Interlaken (2010), Izmir (2011) e Brighton (2012), e che al momento è sfociato nella Dichiarazione di Brighton dell’aprile 2012 – a sua volta all’origine dei nuovi Protocolli n. 15 e n. 16, oramai adottati ed aperti alla firma, ed in attesa delle ratifiche necessarie per la loro entrata in vigore – è stato per la prima volta influenzato da preoccupazioni diverse da quelle strettamente legate al buon funzio-namento del sistema, alla sua efficienza, alla sua autorevolezza. Ac-canto a questi temi, che per fortuna sono quelli che hanno motivato la maggior parte degli Stati partecipanti, non sono mancate spinte di segno diverso, le quali originano dalla sensazione, viva presso alcune cancellerie, che la Corte abbia travalicato il suo ruolo, specie por-tando alla sua massima espansione la sua dottrina non-originalist se-condo la quale la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in se-guito: la Convenzione) è uno strumento vivente, che va interpretato alla luce dell’evoluzione economica, sociale e scientifica della socie-tà, operazione che secondo alcuni governi avrebbe condotto la Corte a prevaricare decisioni democraticamente prese dai parlamenti degli Stati.Si spiega certamente così l’inclusione nel preambolo della Con-venzione, ad opera del Protocollo n. 15, dei riferimenti alla sussidia-rietà ed al margine di apprezzamento, un’operazione, quest’ultima, non priva di ambiguità, soprattutto se si pensa che la dottrina del margine di apprezzamento, che verrà presentata nel preambolo come di applicazione generale, in realtà gioca un ruolo esclusivamente in relazione ai diritti limitabili della Convenzione e non rispetto a quelli assoluti.Anche per dissipare certi equivoci e prevenire talune ambiguità, la Corte ha deciso di dedicare la sua annuale riflessione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario nel mese di gennaio 2015 (il seminario “Dialogo tra giudici” che si svolge in quella occasione) proprio alla sussidiarietà ed ai suoi diversi aspetti, prevedendo due sessioni, l’una dedicata alla sussidiarietà vista dalla Corte e l’altra allo stesso fenomeno visto dagli Stati.Il Convegno i cui atti si presentano in queste righe è intervenuto molto opportunamente in questo contesto, stimolando una riflessio-ne, oltre che sulle novità originate dalla Dichiarazione di Brighton, su quello che è veramente il tema cruciale e la chiave del futuro del sistema europeo di tutela dei diritti umani, vale a dire la corretta ap-plicazione della Convenzione all’interno degli ordinamenti degli Sta-ti. Si tratta in altre parole proprio della sussidiarietà per come essa viene vista da Strasburgo.In effetti il primo difensore, il primo giudice dei diritti umani nel sistema europeo non è la Corte di Strasburgo, ma è il giudice inter-no, incarnato dalle corti supreme e dalle corti costituzionali, ma an-che dal giudice di merito, il giudice di primo grado. Il sistema è de-stinato a funzionare solo per riparare a quelle violazioni che per così dire sfuggono ad un sistema, quello nazionale, che già per conto suo dovrebbe essere in grado di prevenire o riparare la violazione dei di-ritti della persona umana. E questa sussidiarietà è espressa da una regola precisa che è contenuta nella Convenzione e che è la regola del previo esaurimento delle vie di ricorso interne contenuta nell’art. 35 della Convenzione. Non si può adire la Corte di Strasburgo se non sono state esperite tutte le vie poste a disposizione di chi si pre-tenda vittima di una violazione dall’ordinamento del paese che si vuole accusare.Il ruolo dei giudici nazionali, dunque, è fondamentale e proba-bilmente, anche nell’ottica degli autori della Convenzione, ancora più rilevante di quello della stessa Corte di Strasburgo nell’ambito di una visione complessiva della protezione dei diritti fondamentali nel continente europeo.Certamente è importantissimo preservare il livello di adeguatezza della risposta del livello sovranazionale del sistema europeo di tutela, in particolare della Corte di Strasburgo, e dal punto di vista della qualità della sua giurisprudenza e dal punto di vista dell’efficienza, ma è altrettanto certo che il futuro del sistema si gioca all’interno de-gli Stati.È pure fondamentale non perdere di vista la prospettiva, forse di realizzazione non imminente, ma oramai decisa, dell’adesione alla Convenzione dell’Unione europea.Molto opportunamente, quindi, gli organizzatori del Convegno, e penso soprattutto, senza dimenticare il contributo di altri, alla Pro-fessoressa Silvia Sonelli, che ne è stata l’anima, hanno pensato ad in-coraggiare la riflessione sul rilievo critico del diritto della Conven-zione nei suoi tratti essenziali all’indomani della Conferenza di Brighton e dell’adozione dei Protocolli n. 15 e n. 16. Sono state così selezionate alcune tematiche, incentrate su taluni profili di quella che oramai viene indicata come la tutela multilivello dei diritti in Europa cui il sistema della Convenzione concorre, in particolare sulle pro-blematiche di interazione tra la stessa Convenzione, il diritto italiano e quello dell’Unione europea.Questi atti si giovano di uno scritto introduttivo di Silvia Sonelli, che provvede a ricostruire nelle sue maggiori direttrici la trama in cui si inseriscono i diversi contributi, accompagnando questo percorso ideale con alcune preziose riflessioni critiche. Il testo introduttivo ha molti meriti, tra i quali quello di contenere una sintetica, ma preci-sissima e rigorosa, presentazione del sistema europeo di tutela dei diritti umani e della sua evoluzione nel corso degli oltre sessant’anni di vigenza della Convenzione, ciò che permetterà anche ai non spe-cialisti della materia di poter apprezzare appieno i singoli contributi.Questi contributi toccano tutti i temi che si sono accennati, come la riflessione sull’impatto che avrà sul sistema l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione, condotta da Marco Gestri e Stefano Si-lingardi; le novità portate dai Protocolli n. 15 e n. 16, su cui si con-centra Maria Luisa Padelletti; il tema fondamentale dell’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo, sviluppato da Antonio Bul-trini e Mario Midiri; la legitimacy della Corte di Strasburgo – tema che viene ai nostri giorni talvolta evocato in modo aggressivo nel quadro delle polemiche cui si è fatto cenno – nell’ottica del rapporto tra sistema convenzionale e sistemi nazionali, su cui si sofferma Christoph Schmid; la relazione “trasversale” di Elisabetta Lamarque. Non mancano relazioni su temi settoriali, come quelle di Francesco Viganò e di Vico Valentini, che valutano l’impatto della Convenzio-ne nel diritto penale. Ricordo inoltre che a completamento di una giornata di riflessione veramente ricca ed articolata, il Convegno si è anche giovato di un contributo proveniente dalla pratica del diritto, quello di Teresa Magno, magistrato, che ha condiviso con l’uditorio concrete esperienze applicative della Convenzione.Molto appropriatamente nei diversi contributi si pone l’accento sull’applicazione della Convenzione nell’ordinamento italiano, senza tacere le attuali difficoltà e preoccupazioni, specie quelle legate alla nota sentenza della Corte costituzionale sulle c.d. “pensioni svizze-re”, la n. 264 del 2012, che taluni commentatori hanno interpretato come “elusiva” rispetto al tema della corretta applicazione in Italia della Convenzione.Su questo punto dobbiamo certamente attendere gli sviluppi fu-turi, senza dimenticare che la giurisprudenza della Corte costituzio-nale inaugurata con le sentenze “gemelle” (o quasi) n. 348 e n. 349 del 2007, le cui premesse non vengono certamente negate dalla sen-tenza n. 264, ha senza dubbio migliorato di gran lunga le preesistenti condizioni di applicazione della Convenzione nell’ordinamento ita-liano.Credo che sia difficile dissentire da quanti tra i relatori osservano che l’impostazione “accentrata” del controllo di convenzionalità se-guita dalla giurisprudenza della Corte costituzionale non implica un divieto di applicazione diretta della Convenzione da parte del giudi-ce comune, risultato quest’ultimo oramai acquisito da oltre vent’anni con la sentenza Polo Castro del 1990 delle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, e che la visione della Corte di Strasburgo come semplice giudice del caso concreto è certamente riduttiva e non in linea con la giurisprudenza europea.Credo però che una contrapposizione tra Corte europea e corti supreme e costituzionali nazionali sarebbe peggio che sterile, e si ri-solverebbe a tutto danno di coloro la cui protezione costituisce la missione comune di questi organismi, cioè le vittime delle violazioni dei diritti fondamentali.Come ho già avuto modo di osservare in passato, credo che oc-corra spirito di sincera apertura e attenzione di tutte le corti interes-sate, nazionali ed europee, verso la giurisprudenza rispettivamente prodotta. Un buon esempio dell’approccio da seguire viene a mio avviso dalla dichiarazione comune diffusa dai Presidenti delle due corti europee, Costa e Skouris, il 27 gennaio 2011, successivamente ad una riunione delle delegazioni delle due giurisdizioni tenutasi il 17 dello stesso mese. In questa dichiarazione si sottolinea il valore di “interpretazioni parallele” da parte delle due corti per quanto ri-guarda la maggiore possibile coerenza tra la Convenzione europea e la Carta europea dei diritti fondamentali, tanto più che l’art. 52 par. 3 di quest’ultima stabilisce che i diritti in essa indicati che corrispon-dono a quelli della Convenzione europea hanno lo stesso senso e la stessa portata di questi ultimi.Direi perciò, da una parte, che non c’è dubbio che l’intervento sulla scena della protezione dei diritti fondamentali di attori esterni al panorama nazionale, come le corti europee, abbia effettivamente contribuito alla migliore e più efficace protezione della persona umana, che questo dato è oramai percepito come un valore gran-demente positivo dalle corti costituzionali e supreme nazionali e, dall’altra, che questa maggiore attenzione che oramai è accordata ai valori europei dalle corti nazionali deve spingere le corti europee, specie quella di Strasburgo, che ha il compito di agire in modo isti-tuzionalmente sussidiario rispetto alla dimensione nazionale, a valo-rizzare al massimo la giurisprudenza delle corti nazionali, in partico-lare delle corti costituzionali nell’ambito delle responsabilità che ad esse sono affidate.Senza questa consapevolezza della partecipazione ad un comune progetto, consapevolezza che deve accompagnare il quotidiano agire di tutte le corti interessate, nazionali ed europee, nella elaborazione delle rispettive giurisprudenze, i rischi per il futuro del sistema sa-rebbero veramente importanti e preoccupanti.Il Convegno i cui atti si pubblicano ha avuto certamente, tra altri meriti, quello di aver posto l’accento su questo punto cruciale.