La prospettiva trasversale prescelta per l’odierno convegno ha consentito di istruire nella loro complessità le problematiche connesse alla garanzia della libertà di espressione e alla definizione delle condizioni di legittimità delle relative limitazioni. Senza alcuna pretesa di compiutezza, m...
La prospettiva trasversale prescelta per l’odierno convegno ha consentito di istruire nella loro complessità le problematiche connesse alla garanzia della libertà di espressione e alla definizione delle condizioni di legittimità delle relative limitazioni. Senza alcuna pretesa di compiutezza, mi limiterò in questa sede a richiamare a grandi linee la riflessione condotta, fornendo qualche ulteriore spunto conclusivo.
Dopo lo stimolante intervento introduttivo di MARILISA D’AMICO, anche nella sua veste di Prorettrice alla legalità, nella sessione mattutina si è indagata in particolare la pericolosità delle parole, valorizzando i diversi contesti storici e geografici, come sottolineato nella incisiva sintesi di DANIELA MILANI.
Nella sessione pomeridiana, ci si è soffermati invece sugli scenari inediti (e per certi aspetti inquietanti) dell’avvento dei media digitali. Se è pacifico che la parola e lo sviluppo del linguaggio hanno contraddistinto l’intera evoluzione dei Sapiens, distinguendoli dagli altri viventi e assicurando loro la sopravvivenza, il Ventunesimo secolo ha disvelato volti inediti del potere delle parole, come osservato da SARA PARINI nel lucido contributo che ha dato avvio ai lavori. La fragilità (delle parole) del diritto e dei diritti, in questo ambito, esige la ricerca di strumenti alternativi (culturali, pedagogici, tecnologici, etc.) al fine di contenere la potenza inedita che la rete conferisce alle parole, fornendo loro quella capacità di ‘creazione’ della realtà virtuale che era attributo esclusivo della parola divina: dall’Homo Sapiens all’Homo Deus, secondo la illuminante e suggestiva ricostruzione dell’evoluzione degli umani proposta di recente dallo storico Yuval Noah Harari.
La pericolosità delle parole ‘pronunciate’ in rete assume quindi forme e gradi differenti a seconda dei contesti virtuali (le piattaforme) che le veicolano, e il compito regolatorio affidato al diritto diviene ancor più arduo, se non addirittura impossibile: alle difficoltà definitorie della libertà di espressione e delle sue (legittime) limitazioni, si aggiunge la difficoltà di contenere in modo efficace la risonanza dei discorsi d’odio, e ciò in considerazione della ampiezza e della rapidità della diffusione garantita dalla tecnologia.
Ma il linguaggio restituisce la cifra della nostra identità individuale e collettiva, è pertanto la qualità delle persone e dei rapporti interpersonali a nutrirne il vocabolario e a ispirarne i toni. La violenza delle parole non è che l’eco della violenza dentro le persone e nelle loro relazioni. Alla libertà di parola, dunque, non può non corrispondere la responsabilità per le parole, responsabilità che, prima ancora di avere rilevanza giuridica, ne ha una profondamente etica. Le parole di odio invocano parole di cura, delle anime ferite e delle relazioni malate che abitano la società iperconessa, in cui paradossalmente si moltiplicano solitudine e intolleranza.
In tale mutato contesto il giurista può e deve fornire il proprio specifico contributo alla promozione di un linguaggio rispettoso della dignità dell’altro, nella consapevolezza, tuttavia, dell’oggettiva precarietà dell’efficacia della regolazione.
A conclusione di questa intensa, e spero proficua giornata, anche a nome della Professoressa Parini, desidero ringraziare tutti della partecipazione: i relatori per il prezioso contributo, gli studenti per l’attento ascolto, gli esperti informatici per l’efficiente assistenza tecnica. Mi permetto di esprimere, infine, il più sentito ringraziamento alla Professoressa Parini, per aver ideato e realizzato una iniziativa così ricca e interessante.