Quello della tutela delle fattispecie contrattuali atipiche rappresenta, com’è noto, un tema estremamente dibattuto che ha visto e vede tuttora impegnato un larghissimo settore della dottrina romanistica. Il continuo proliferare di studi in materia ha fatto emergere, soprattutto negli ultimissimi...
Quello della tutela delle fattispecie contrattuali atipiche rappresenta, com’è noto, un tema estremamente dibattuto che ha visto e vede tuttora impegnato un larghissimo settore della dottrina romanistica. Il continuo proliferare di studi in materia ha fatto emergere, soprattutto negli ultimissimi anni, una varietà di posizioni che non è facile riassumere in un quadro unitario, tanta è la straordinaria ricchezza di sfumature e dettagli che accompagna ognuna di esse. Se si guarda però alla cornice generale entro le quali esse si inseriscono, può tuttavia affermarsi che gli indirizzi interpretativi oggi prevalenti si caratterizzano per una comune e costante valorizzazione dei profili di discontinuità all’interno della storia delle dottrine romane del contratto, in un percorso di indagine che mira a mettere in risalto apporti e contributi dei singoli giuristi, anche minori. Si è ben distanti, dunque, dai modelli omologativi, particolarmente cari agli autori meno recenti, che prospettavano piuttosto scenari ricostruttivi contrassegnati da una sostanziale omogeneità di ordine dogmatico e soprattutto processuale. Ha piuttosto preso forza l’idea di una varietà di elaborazioni teoriche e di connesse forme di tutela, che avrebbe visto delinearsi e contrapporsi (perlomeno) due distinti indirizzi solutivi. L’uno attribuibile a Labeone, l’altro ad Aristone. Più precisamente, mentre il primo avrebbe riconosciuto tutela alle convenzioni atipiche riconducibili allo schema dell’ultro citroque obligatio, da intendersi nel senso di atto anche solo potenzialmente produttivo di obbligazioni in capo a entrambe le parti (Ulp. 11 ad ed. D. 50.16.19), concedendo a tal fine un’azione in factum (decretale) da congegnarsi sul modello dei iudicia bonae fidei, il secondo, al contrario, attraverso un’incisiva rivisitazione della dottrina labeoniana, avrebbe legato la tutela alla presenza di una corrispettività delle prestazioni (a condizione però che almeno una delle due attribuzioni patrimoniali avesse trovato esecuzione), accordando, se non addirittura introducendo, un’actio civilis incerti di stretto diritto.
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