L’oggetto del volume è quello tradizionale: l’esposizione del sistema delle tutele offerte dall’ordinamento ai cittadini contro gli atti e i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti privati che la legge ad esse equipara.
Le tutele non si esauriscono sul piano processuale ma si estendono al piano sostanziale (ricorsi amministrativi, strumenti di soluzione stragiudiziale delle controversie); e, sul piano processuale, sono assegnate a giudici diversi (giudici ordinari, amministrativi, contabili, delle acque, parlamentari), che seguono riti processuali differenziati. Restano fuori dalla trattazione solo le controversie tributarie, secondo tradizione. Per questo suo contenuto il volume non può essere denominato “Diritto processuale amministrativo”: il titolo non renderebbe appieno il suo contenuto.
D’altronde non è soltanto conforme a tradizione (e ai programmi d’insegnamento universitario), ma anche rispondente a criteri di razionalità, esporre con sistematicità l’insieme delle tutele, processuali o meno, contro le amministrazioni. Si può offrire un panorama completo dei modi in cui il cittadino può far rientrare nei limiti della legalità l’azione amministrativa che se ne sia discostata, senza dare peso (sul piano espositivo) al carattere sostanziale o processuale dei singoli rimedi, o “guarentigie” secondo l’elegante vocabolo utilizzato da Oreste Ranelletti.
La teoria e la pratica della giustizia amministrativa sono stati (e in parte continuano ad essere) il luogo di elaborazione dei principi e dei concetti fondamentali del diritto amministrativo sostanziale; molto più che non sia stato il processo civile luogo di elaborazione di istituti del diritto privato. Anche per questa ragione sarebbe riduttivo costringere la giustizia amministrativa sotto il titolo di diritto processuale amministrativo.
La legislazione amministrativa è sterminata: essa si concentra, oltre che sull’orga-nizzazione, sulle singole funzioni, aventi carattere operativo, sui singoli procedimenti, sui singoli atti. Nonostante i notevoli apporti degli ultimi decenni, risultano ancora incomplete le disposizioni legislative sulla disciplina generale dell’azione, l’inazione e il provvedimento amministrativo. In relazione a quest’ultimo, mancavano fino alla legge n. 15/2005 norme scritte sulla perfezione, la validità e l’efficacia, e non è detto che le norme sopravvenute ne abbiano chiarito e semplificato il regime giuridico. Per ciò che attiene all’azione, alcuni principi sono iscritti nel testo costituzionale e nella legge sul procedimento, ma molti altri si possono ricavare soltanto dalla giurisprudenza (anche comunitaria), dato che sono di origine prettamente processuale.
La stessa posizione dell’amministrazione nei confronti dei cittadini, e di questi nei confronti della prima, è stata fissata, e più volte è stata aggiornata, in occasione dello svolgimento degli istituti di tutela. Ne è ottimo testimone la pluralità delle ricostruzioni teoriche susseguitesi nel tempo (e rispettose, almeno in parte, del diritto vivente, mutante nel tempo) della figura dell’interesse legittimo.
Nella latitanza, non considerata un male (e talvolta anzi ritenuta un bene) del legislatore, protrattasi per lunghi decenni, dottrina e giurisprudenza hanno trovato un campo in cui operare in collaborazione, formulando con duttilità i tratti salienti della teoria generale del diritto amministrativo.
Anche il processo amministrativo deve larga parte della sua disciplina a tale opera di collaborazione: molto spesso il legislatore non ha fatto altro che prendere atto, e trasformare in norme scritte, regole già viventi nella realtà processuale. Dal diritto vivente al diritto scritto! E questo si può ripetere anche a proposito del Codice del processo amministrativo, dei successivi decreti correttivi e delle modificazioni successive. Uno dei criteri della delega al Governo per la redazione del Codice imponeva, infatti, di “adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori”; e la Corte costituzionale ha tenuto conto di siffatto criterio nel valutare la legittimità costituzionale delle disposizioni codicistiche. Tutto considerato è tuttavia possibile sostenere che il Codice contiene aperture che la giurisprudenza amministrativa non ha ancora pienamente esplorato.
Per le ragioni esposte la giustizia amministrativa si salda strettamente al diritto sostanziale: non avrebbe senso studiare il diritto amministrativo trascurando la giustizia, né occuparsi di giustizia senza avere approfondito il diritto sostanziale. Ciò non toglie che possa dedicarsi un volume alla sola giustizia: esso presuppone comunque la conoscenza del diritto sostanziale, ed a questo farà sovente riferimento.
Non mancano affatto buoni testi di giustizia amministrativa. L’idea di aggiungerne un altro è venuta anni orsono al curatore di questo volume; il quale ha chiesto la collaborazione di un gruppo di studiosi, dei quali conosce l’orientamento convergente, almeno sulle idee fondamentali e sui temi caratterizzanti.
Essi hanno tutti larga esperienza, i più sia teorica sia pratica, del processo, anzi dei processi amministrativi. Quanto ciascuno di essi ha scritto è in linea di massima condiviso dal curatore. Il quale si è limitato a fornire pochi indirizzi di metodo, rari consigli sul merito, sporadiche richieste di modificazioni, per lo più di forme espositive.
Siamo giunti, per la benevolenza dei lettori, alla nona edizione: agli Autori originari ne sono stati aggiunti alcuni nuovi, ma il gruppo rimane omogeneo.