L’appartenenza degli individui a comunità sociali, politiche o economiche e la conseguente necessità di assumere decisioni collettive nell’interesse della comunità impongono di individuare strumenti che selezionino le preferenze di gruppo. Il diritto di voto è lo strumento (o, meglio, uno de...
L’appartenenza degli individui a comunità sociali, politiche o economiche e la conseguente necessità di assumere decisioni collettive nell’interesse della comunità impongono di individuare strumenti che selezionino le preferenze di gruppo. Il diritto di voto è lo strumento (o, meglio, uno dei possibili strumenti) con cui gli individui manifestano le loro preferenze individuali ai fini dell’adozione di scelte collettive.
Optare per il diritto di voto quale mezzo di determinazione delle preferenze collettive non è sufficiente, tuttavia. Almeno tre questioni ulteriori richiedono di essere affrontate prima che un qualunque sistema di voto possa essere messo efficacemente in opera. Innanzi tutto, occorre stabilire a quali soggetti attribuire il diritto di voto. Normalmente, una tale decisione presuppone la previa identificazione di chi, tra più soggetti ipoteticamente candidabili per l’assegnazione del diritto di voto, abbia interesse (o un maggiore interesse) nel risultato delle votazioni e quindi abbia i più forti e migliori incentivi a votare. Nel campo delle società per azioni, ad esempio, l’ordinamento deve stabilire, direttamente o attraverso la mediazione dell’autonomia statutaria, se attribuire il diritto di voto a tutte le categorie di stakeholders (azionisti, creditori, lavoratori, per citare le principali) o soltanto ad alcune di esse. Inoltre, l’ordinamento deve decidere se, all’interno della categoria assegnataria del diritto di voto, tutti gli esponenti della stessa siano da ammettere al voto o se vadano ammessi al voto soltanto alcuni di essi, selezionandoli in funzione di parametri quali (ipoteticamente) possesso minimo di azioni, natura del credito o natura del rapporto di lavoro.
Una seconda questione attiene al peso da assegnare al voto espresso dai legittimati a votare. Soggetti diversi, per quanto tutti genericamente interessati all’esito della decisione collettiva, potrebbero avere preferenze individuali di diversa intensità perché affetti dai risultati della decisione collettiva in diversa misura. Assegnare un peso differente al voto espresso dai legittimati consente, allora, di dare voce a preferenze individuali di intensità disomogenea. Per quanto concerne le società per azioni, lo storico dibattito sull’opportunità di autorizzare limitazioni o moltiplicazioni del diritto di voto ruota esattamente intorno a questo cardine. L’interrogativo è se, pur a parità di investimento, i diritti di voto abbiano un valore idiosincratico per gli azionisti in ragione della diversità di utilità (pecuniarie e non pecuniarie) ricavabili dalla partecipazione alla società. Il riconoscimento di un valore idiosincratico dei diritti di voto può giustificarne un’allocazione non proporzionale a parità di rischio d’impresa corso.
Una terza questione ha invece a che vedere con le modalità di aggregazione delle preferenze individuali al fine di determinare la scelta collettiva finale. Differenti modi di aggregazione possono condurre a differenti risultati, anche confliggenti, come dimostrato dal “paradosso di Condorcet”. Relativamente alle società per azioni, la questione si declina, ad esempio, nello stabilire se siano preferibili sistemi di voto a maggioranza qualificata, assoluta o relativa, se permettere il voto cumulativo (come usavano fare le società del Delaware) o, ancora, se adottare sistemi di voto proporzionale (come quelli che riservano posti in consiglio di amministrazione a candidati espressi dalle minoranze).
La varietà e complessità dei temi che gravitano intorno al diritto di voto nella società per azioni giustifica l’attenzione ricorrente che vi dedicano gli studiosi. In questo lavoro ci si muove nel solco della seconda delle questioni segnalate, circoscrivendo tuttavia l’analisi al solo voto graduato, nella forma del voto contingentato e del voto scalare in funzione del numero di azioni possedute da un medesimo soggetto (e di altri criteri soggettivi, come si cercherà di dimostrare). Forse perché ritenuto foriero di conseguenze meno allarmanti in punto di governance e fors’anche perché di uso meno frequente, l’istituto del voto graduato, di cui i tetti che limitano ad un numero massimo i voti esercitabili sono la manifestazione più comune, ha storicamente ricevuto considerazione minore di quella ricevuta dalle azioni a voto limitato e dalle azioni a voto plurimo. Con ogni probabilità, esso ha ricevuto una considerazione minore di quella che merita sol che si consideri l’evoluzione storica della società per azioni e le vaste potenzialità di utilizzo di sistemi di contingentamento e scaglionamento del voto dei soci.