La monografia affronta una ricostruzione della disciplina del commodatum alla luce della riflessione giurisprudenziale dei giuristi romani tardo-repubblicani e del principato, prendendo le mosse dal problema delle sue origini, laddove il significato socialmente rilevante che le fonti testimoniano gi...
La monografia affronta una ricostruzione della disciplina del commodatum alla luce della riflessione giurisprudenziale dei giuristi romani tardo-repubblicani e del principato, prendendo le mosse dal problema delle sue origini, laddove il significato socialmente rilevante che le fonti testimoniano già in età piuttosto risalente per il prestito d’uso trova riscontro, sulla base di una scontata esigenza di tutela, in un riconoscimento giuridico, riconoscimento che la riflessione di un giurista autorevole quale Quinto Mucio avvalora, fornendo testimonianza di un interesse senza dubbio approfondito per un rimedio, quello dell’actio commodati, che già nel III-II secolo a.C. doveva risultare concesso a tutela delle ragioni del comodante.
L’analisi articolata della tutela processuale induce a ritenere che la giurisprudenza classica elabora l’intervenuta bilateralità della tutela processuale e la proietta sul piano sostanziale, individuando una reciprocità di obbligazioni che ci restituisce una struttura giuridica del commodatum profondamente modificata. I iuris prudentes della tarda età classica, come Paolo e Ulpiano, definiscono il perimetro, in sé assai mobile, dell’actio commodati contraria, facendovi rientrare anche il fine di tutelare l’interesse del comodatario all’utilizzo della res fino alla completa attuazione dello scopo concordato nel programma contrattuale dalle parti.
Viene infine trattato il tema della responsabilità contrattuale del comodatario. L’esame condotto sulle fonti in nostro possesso sul comodato induce a ritenere che il regime della responsabilità posta a carico del comodatario sia di tipo soggettivo, ossia che nessun evento possa essergli addebitato se non si possa muovere un rimprovero per la condotta tenuta. Questo rimprovero si fonda su un comportamento del soggetto che non doveva tenere nel caso di specie, poiché non conforme al criterio di diligenza che viene a lui imposto e che viene a concretarsi in quella conformità al regime convenzionale adottato e in particolare all’utilizzo della res commodata secondo quanto pattuito dalle parti o secondo quanto può desumersi dalla natura del bene concesso in prestito. Ciò induce a ritenere che la custodia della quale parla Gaio non allude ad una forma di responsabilità oggettiva, ad onta della similitudine con le figure del lavandaio e del rammendatore, ma serve al giurista antoniniano per evidenziare uno dei contenuti principali dell’obbligazione posta a carico del comodatario.
L’analisi della disciplina disegnata dai giuristi romani viene costantemente confrontata con quella posta dal codice civile italiano, raffronto dal quale emerge una profonda linea di continuità che può indurre anche a rivedere talune teorie consolidate e a rimeditare su alcune dispute teoriche non ancora sopite nella moderna civilistica.
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