Sulla coda di un’emergenza sanitaria di lungo riassorbimento, lo scoppio del conflitto in Ucraina nel febbraio 2022 ha richiamato l’attenzione su un oggetto che il mito del benessere imperturbabile, già infranto dalla pandemia, sembrava aver rimosso: la guerra. Tema di riflessione ininterrotta nella storia del pensiero, la guerra sembra aver ribussato con tutto il suo macabro seguito in Europa: la fame, la necessità di migrare, l’assenza di energia e di acqua, i massacri, gli sciacallaggi, gli eserciti, le armi, le violenze, le torture. Ciò che la guerra porta con sé non può essere elencato in modo esaustivo: l’assenza della volontà di imparare nell’Uomo, e ancora di più, la sua miopia di fronte ad un futuro che a torto continua a darsi per scontato rendono sterminati gli effetti che un conflitto può arrivare a produrre.
Su entrambi gli schieramenti, la guerra ha significato la mobilitazione di forze di difesa e di offesa, con la chiamata alle armi dei cittadini, il ritorno di operazioni di coscrizione obbligatoria, l’acquisto di armi, l’implementazione degli arsenali bellici. Molti giovani e meno giovani sono stati forzati ad imbracciare le armi per prendere parte ad un conflitto di cui sono ancora molto incerte le sorti; un conflitto nella mai tramontata età delle armi termonucleari, che rendono l’idea stessa di guerra non comparabile rispetto al passato, nonché il suo esito ultimo prevedibile e definitivo per l’intero genere umano.
È Norberto Bobbio che sul finire degli anni Settanta costruisce la sua riflessione intorno alla guerra e alla pace a partire da questa atroce consapevolezza, suggerendoci uno spunto che in questi mesi ha stentato ad emergere: “di fronte alle prospettive della nuova guerra siamo, almeno in potenza, tutti quanti obiettori”. Se “obiezione di coscienza significa rifiuto di portare le armi”, argomenta Bobbio, “quando nel concetto di arma rientra oggi una bomba che, com’è noto, ha da sola un potere esplosivo superiore a tutte le bombe gettate sulla Germania nell’ultima guerra, è lecito domandarsi se il portar armi non sia diventato un problema di coscienza per tutti”. Da allora gli scenari di offesa sono persino peggiorati, le potenzialità distruttive si sono grandemente incrementate. La domanda che per Bobbio era lecito porsi sembra essere rimasta inascoltata, come marginale, se non assente, è stata l’attenzione per la coscienza di tutti quegli uomini russi e ucraini ai quali è stato ingiunto di sacrificare la propria libertà, prima ancora che la propria vita.
Se imbracciare le armi dovrebbe essere un problema di coscienza per ognuno, l’essere chiamati a portarle in ragione degli obblighi di leva, con le resistenze che le proprie convinzioni più profonde possono frapporvi, rappresenta un tipico ambito nel quale ha trovato applicazione l’oggetto di studio che ci siamo proposti di analizzare: l’obiezione di coscienza. Questo volume cerca di approfondirne la comprensione non solo con riferimento alla sua dimensione giuridica, ma, nell’ottica di una prospettiva etica allargata, dedica attenzione specifica alla componente morale e politica che l’istituto dell’obiezione presuppone, ri-comprende ed esprime.
Questa operazione ha portato alla necessità di ammorbidire e di non irrigidire oltre il dovuto determinate distinzioni analitiche, in particolar modo riguardo alla linea di demarcazione tra due figure contigue di resistenza, come l’obiezione e la disobbedienza civile. Il presupposto concettuale è presto detto: l’analiticità nel distinguere tra categorie conferisce indubbio nitore alle ricostruzioni teoriche nella misura in cui il rigore analitico sa fornire strumenti per spiegare e comprendere i fenomeni reali nel loro concreto manifestarsi. Laddove dal rigore si passa all’ingessatura, si corre il rischio di deformare la comprensione della realtà o di forzarne la ricostruzione in virtù di una “ingiunzione di fedeltà” a certi modelli archetipici che abbiamo elaborato.
Tale premessa si è tradotta nella necessità di valorizzare il significato politico dell’obiezione di coscienza durante tutta la trattazione, al di là della finezza del-le distinzioni analitiche che, forse, ne avrebbero suggerito una ancor più rigorosa perimetrazione. Le vicende che hanno interessato l’obiezione nell’ultimo decennio e gli sviluppi applicativi che la riguardano hanno reso infatti opportuno un cambio di prospettiva, che allarghi lo sguardo oltre la logica stretta del diritto e ponga l’obiezione al centro di domande che chiamano in causa la fisionomia, gli scopi, gli sviluppi di una comunità politica democratica e liberale, che nella propria Carta costituzionale ha fissato dei principi-bussola per resistere alla più violente tempeste.
Il volume presenta così un’analisi bipartita. Rispetto ad essa, i primi tre capitoli forniscono un inquadramento a focalizzazione crescente sull’obiezione in una prospettiva scarpellianamente etica, ossia morale, politica e giuridica. Par-tendo dalla ricostruzione delle rispettive aree di significato in cui la coscienza può essere intesa, si è cercato di delineare una teoria morale, politica e giuridica dell’obiezione, come istituto strutturalmente multidimensionale, espressione di complesse interazioni normative. Il quarto capitolo, invece, si presenta come analisi di alcune dorsali calde all’interno del dibattito contemporaneo sull’obiezione, lette alla luce delle categorie proposte nella prima parte. Allargando lo sguardo alle sue notevoli potenzialità applicative, nonché alle meta-morfosi che ne hanno cambiato il significato rispetto all’originario contesto di elaborazione, il volume propone al lettore un’occasione per immaginare la futura fisionomia delle nostre società a partire dalle difficoltà del presente che l’obiezione di coscienza ci consegna, in una circolazione di modelli tra contesti giuridici spesso profondamenti diversi.
Per meglio comprendere i presupposti sui quali si è strutturata una simile lettura, ci è funzionale distinguere tre tesi di fondo che cercano di dare unità al-lo sforzo ricostruttivo: la prima di carattere metodologico; la seconda di carattere metateorico; la terza di carattere politico-programmatico.
Con riferimento alla tesi di carattere metodologico, l’approccio unitario è di tipo analitico-linguistico, nel tentativo di individuare categorie e classificazioni che, attraverso elementi di analisi storico-concettuale, filosofico-morale e filosofico-politica, compongano la multidimensionalità strutturale dell’obiezione in un disegno teoricamente coerente, chiarendo i suoi presupposti nonché le sue implicazioni sul piano giuridico. All’unitarietà dell’approccio si accompagna, quindi, la pluralità delle prospettive di analisi impiegate, per evitare infruttuose semplificazioni che appiattirebbero gli orizzonti rilevanti al solo ambito del diritto.
Con riferimento alla tesi di carattere metateorico, invece, il rimando ad una teoria generale e alla sua costruzione è da leggersi nei termini con i quali Bobbio articola la sua riflessione metateorica rispetto al diritto: “proposta e, in parte, realizzazione di una teoria del diritto, sempre volta ad indagarne le modalità di funzionamento” con un compito irrinunciabilmente prescrittivo. La teoria generale dell’obiezione che qui viene proposta parte dai medesimi presupposti metateorici, ma si muove nel tentativo di comprenderne le modalità di funzionamento come fenomeno di dissenso interno ad una comunità politica, prima ancora che come diritto ad obiettare. In tal modo, l’approccio teorico-giuridico all’obiezione è il punto di approdo e non quello di partenza per un’analisi strutturalmente plurale (morale, politica e giuridica), che giunge a proporre un modello prescrittivo e unitario del diritto positivo all’obiezione di coscienza nella cornice ideologico-politica dello Stato costituzionale di diritto.
Infine, con riferimento alla tesi di carattere politico-programmatico, l’obiezione viene esaminata come strumento per favorire una certa visione della società. In tal senso, la forma di resistenza che nell’obiezione si manifesta è funzionale al perseguimento di determinati obiettivi programmatici che troviamo espressi o impliciti nelle Carte costituzionali: la valorizzazione dell’individuo e della sua identità morale; la garanzia di una sfera inaccessibile ai pubblici poteri attraverso il riferimento alla coscienza; la tutela del vincolo di lealtà reciproca dei soggetti di fronte alle regole comuni di una società; l’articolazione e l’implementazione del pluralismo etico attraverso la dialettica democratica.
Intorno a queste tre tesi di fondo si articola l’analisi che il lettore avrà la pazienza di esaminare, nel tentativo di sottolineare l’importanza sistemica, strutturale e giustificativa dell’obiezione di coscienza all’interno dell’architettura ordinamentale. In queste pagine vi è infatti la volontà di proporre uno sforzo intellettuale che apra al confronto costruttivo, rendendo i temi a cui l’obiezione rimanda l’occasione per allargare il nostro sguardo sugli altri, sui loro valori e convincimenti profondi, sul significato che il riferimento alla coscienza continua ad avere nella vita di una comunità politica democratica.
Forse, riprendendo con attenzione Kant, dovremmo anche noi affermare che “[l]a nostra epoca è la vera e propria epoca della critica, cui tutto deve sommettersi” , consapevoli che la critica può utilmente aprirsi a forme ragionevoli e costruttive di resistenza. In queste parole, come si intuirà, non vi è nessun incitamento a sovvertire l’ordine costituito. Piuttosto, vi è il modesto invito ad esercitare verso le norme giuridiche che modellano la postura storica di un Paese e di un’epoca la capacità più sovversiva che la tradizione filosofica ci consegna: la facoltà di giudizio critico, la sola che può aiutarci a ritrovare il coraggio di sentirci liberi di obbedire.