Il diritto del lavoro nasce, nel contesto della legislazione sociale, da una esigenza di protezione della persona del lavoratore in ragione della sua qualità di soggetto debole sul piano socio-economico e, conseguentemente, sul piano contrattuale, perché operante su di un mercato segnato da una di...
Il diritto del lavoro nasce, nel contesto della legislazione sociale, da una esigenza di protezione della persona del lavoratore in ragione della sua qualità di soggetto debole sul piano socio-economico e, conseguentemente, sul piano contrattuale, perché operante su di un mercato segnato da una diffusa disoccupazione ed, insieme, perché dipendente, quanto alla sua sopravvivenza (ed a quella del suo nucleo familiare), solo dai redditi derivanti dalla sua attività lavorativa.
Il fenomeno del lavoro, invero, non era ignoto agli ordinamenti giuridici del passato ed, in particolare, al mondo romano; peraltro, anche in ragione della circostanza che il lavoro manuale eterodiretto era affidato agli schiavi, esso venne a trovare collocazione negli istituti propri della locatio, ancorandosi alla locatio hominis (appunto per l’affitto dello schiavo), alla locatio operarum (in cui l’oggetto del contratto non era la persona dell’uomo libero, bensì le sue attività), alla locatio operis (in cui l’oggetto del contratto era il compimento di un’opera determinata, con autonomia organizzativa e rischio di risultato per il prestatore), e manifestandosi anche nelle operae liberalis (cioè nelle libere professioni allora esercitate).
La disciplina di riferimento restò sostanzialmente invariata sino al secolo diciannovesimo, seppur attraverso un processo che vide il fenomeno intrecciarsi con la nascita delle corporazioni professionali di arti e mestieri, in quanto mezzo di regolazione oligopolista delle attività economiche (ed anche di partecipazione, nel basso medioevo, alla vita politica), nonché conseguentemente di disciplina, oltre che della concorrenza tra gli imprenditori e/o maestri artigiani, delle prestazioni rese in loro favore dai prestatori d’opera e dagli apprendisti.
Sarà, quindi, solo il processo di industrializzazione (la c.d. rivoluzione industriale) ad imporre agli ordinamenti delle società occidentali, a partire dalla seconda metà del secolo diciottesimo, la necessità di forme di intervento regolativo nei rapporti tra capitale e lavoro.
Del resto, la soppressione delle corporazioni (legge Le Chapelier, 1791), con i molteplici impedimenti che le stesse avevano imposto all’autonomia individuale, ed il riconoscimento formale della parità tra le due parti del contratto di lavoro (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, 1793), non aveva garantito nessun riequilibrio effettivo, permanendo la situazione di debolezza contrattuale di colui che era detentore soltanto delle sue energie psicofisiche, in una situazione di diffusa disoccupazione e, quindi, di esasperata concorrenza, che consentiva la allocazione dei salari ai livelli della mera sussistenza.